Vivi senza rumore – Capitolo 15

Vivi senza rumore

Capitolo 15

Oggi, ore 5,30
Ha smesso di nevicare e luce della luna sgomita fra due nubi, il candore la riflette amplificata.
Giosuè, fermo in mezzo alla strada, si gira e guarda le sue orme nette e decise, non hanno l’esperienza di una bella decorazione. In lontananza vede l’ippocastano.
Il freddo gli punge il viso, il fiato si organizza in nuvolette, ma le mani, dentro i guanti, sono sudaticce di tensione. Esita un attimo, poi continua a disegnare un’impronta dietro l’altra.
Arriva al bordo della strada, poco lontano c’è l’immenso albero. Il silenzio è assoluto. Affila lo sguardo e vede qualcosa appoggiato al tronco.
Il campo è bianco, uniforme, e lui cammina su un lenzuolo fresco di bucato tirato sulla terra. Mentre si avvicina al Grande Albero, prende forma la sagoma di un uomo. È appoggiato alla corteccia. Giosuè si ferma a qualche passo da lui. L’uomo non si muove, forse non l’ha sentito.
Il bambino ha sopra la testa un gigantesco ombrello di legno, in mano cibo e nel cuore un gesto d’aiuto.
Torino, 1995
Credevo fosse una delle tante leggende che popolano le speranze di chi non possiede niente, una specie di chimera, come il tredici al totocalcio.
Nessuno l’ha mai visto e sa chi sia, ma da molti anni un figuro misterioso gira di notte il mondo dei clochard torinesi. È un mito tramandato da qualche generazione di viaggiatori, storie raccontate intorno a fuochi d’inverno, fra boccate di vino e di fumo. Si narra che il Babbo Natale dei barboni, quando non è impegnato con i suoi doveri istituzionali, elargisca alla Torino dimenticata vere banconote in raffinate buste anonime, senza mai farsi cogliere sul fatto, come solo un autentico mago sa fare. C’è chi sostiene che è il diavolo in persona che regala soldi in cambio dell’anima, e pare gli vada bene anche l’anima sdrucita di un viandante nullatenente. Vecchie storie ruminate in bocca a gente affamata.
Così, come si fantastica sulla vincita al totocalcio, noi pellegrini, a parole stravolgevamo le nostre vite. C’era chi con quei soldi voleva comprarsi un lavoro o una moglie come fossero sigarette, chi avrebbe donato metà tesoro ai frati, che ci aiutano bene e volentieri. Altri avrebbero fatto il bagno in una botte di vino e bevuto fino a vederne il fondo, e poi assoldare un killer per uccidere il bastardo di turno o pagare uno stormo di donne, e ancora istituire la mutua dei barboni con tanto di casa di cura…
Io non mi sono mai pronunciato e ridevo della loro innocenza. Non avevo mai conosciuto il vincitore della lotteria dei barboni.
Ero sicuro fossero storie per tirare avanti ancora un po’, andare con la fantasia e sognare di giorno è positivo, aumenta la fiducia in un mondo magnanimo, mi dicevo.
Ma dovetti ricredermi, Babbo Natale esisteva e aveva infilato il primo premio in quella busta. Avevo vinto senza comprare il biglietto e per un motivo misterioso.
Per contare tutti quei quattrini mi rifugiai in un anfratto. Erano banconote nuove, come se la zecca le avesse partorite in quel preciso istante. Frusciavano come foglie al vento, mi scivolavano dalle dita impacciate da movimenti sconosciuti.
Erano cento fogli da cento, dieci milioni di lire!
Non avevo mai visto tanto denaro in vita mia. Mi girava la testa. Li contai ancora quattro volte, poi infilai un centone in tasca e il resto lo rimisi nella busta, che inserii davanti, fra la pelle e quelle che un tempo erano mutande, sotto tre strati di vestiti. Il nostro è un mondo che riunisce santi e infami sotto la stessa coperta di stelle, se i compagni della sera prima avessero saputo di tutti quei soldi, mi avrebbero tagliato la gola senza pensieri e rimorsi.
Quel giorno mi comportai come sempre, ma la testa frullava di pensieri. Cercai di riordinarli e classificarli per tipo, ma sorgevano domande che ingarbugliavano di nuove paure la matassa di un futuro impensabile fino a quel momento.
Dove posso metterli? Se vengono a sapere che ho tutti questi soldi, cercheranno di prendermeli, o penseranno che li abbia rubati.
Cosa ne faccio? Devo nasconderli. Dove? Di sicuro non in banca! Affitto una camera in albergo? Compro dei vestiti eleganti? Mi lavo e rado la barba? E poi? Cerco un lavoro e una donna che riesca a sopportare un ex clochard convinto, che a poco più di quarant’anni perde i denti come fossero da latte? Mi armo di buoni propositi e smetto di bere, fumare, mangio sano, prendo le vitamine, la notte dormo sotto un piumone al caldo, la domenica vado a messa e visito i musei, prenoto le ferie al mare per fare vita da spiaggia o in montagna per camminare su una pietraia scoscesa come una fortezza e vado in palestra e a fare jogging il mattino presto, magari con il cane al guinzaglio, fermandomi a raccogliere i suoi bisogni con la palettina?
Ridicolo!
Pensieri mai pensati.
Baluginò anche l’idea che quell’uomo ammantellato non mi fece un dono ma cercò di mettermi al tappeto.
Non riuscivo a capire se la mia vita fosse stata attraversata da un angelo o toccata da un demonio.
Ripensai al pettirosso che aveva preso quello che gli serviva e aveva lasciato il resto. Era giusto fare come gli animali? Per loro è facile, non hanno il senso morale e non si preoccupano del domani.
Un po’ come avevo vissuto io negli ultimi anni.
E mi chiesi seriamente: volevo davvero quel cambiamento?
Luca Zini

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